Storia del lavoro a maglia

Storia del lavoro a maglia

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L’inizio del lavoro a maglia non ha una datazione certa per la difficoltà di distinguere se le notizie pervenute riguardassero il lavoro eseguito ai ferri oppure quello a telaio. Solo nell’epoca cristiana è possibile esaminare il primo reperto di lavoro a maglia, analizzandone la struttura e i colori.
È probabile che manufatti più antichi non abbiano resistito all’usura del tempo o, più semplicemente, siano stati riciclati più volte, visto che uno dei pregi maggiori del lavoro a maglia è proprio quello di poter essere disfatto e impiegato per altri utilizzi.
Il reperto venne alla luce in Siria tra le rovine di Dura-Europos e presenta una tecnica molto simile a quella usata quando si lavora con il ferro circolare oppure con i due ferri tenuti liberamente (e non uno sotto l’ascella destra) tra le mani. Tuttavia, Richard Rutt, in “A History of Handknitting” propende per la teoria che il frammento di Dura non sia stato lavorato a maglia ma con la più arcaica tecnica del naalbinding, una tecnica antica che viene svolta con l’ausilio di un unico ago. Dall’Egitto medievale arrivano invece le prime lavorazioni in tondo, con il rinvenimento di calze in cotone lavorate a tondo. Sembrano essere proprio gli egizi il primo popolo a perfezionare tecniche di lavorazione tessile e nelle tombe gli abiti sacerdotali scolpiti o dipinti fanno pensare proprio a un uso corrente di tali lavorazioni. Anche il Vangelo riporta, a proposito della tunica di Cristo, che “questa era d’un pezzo, senza cuciture tessuta senza interruzioni da cima a fondo.” Si tratterebbe proprio di una tunica di maglia!

Di maglia sembrano essere anche i costumi due pezzi indossati dalle ragazze romane ritratte nei mosaici, le corazze, seppur metalliche dei gladiatori e dei legionari. Attraverso i marinai e le loro peregrinazioni, i tessuti in maglia si diffonderanno in Inghilterra prima, nel continente americano poi.

I Cristiani Copti, scampati all’invasione degli Arabi, avevano trovato rifugio presso i monasteri delle coste e delle isole irlandesi, dando vita alla fusione tra i loro simboli e i motivi celtici della regione. E così, grazie ai monaci irlandesi, i disegni furono trasportati alle isole Aran, famose per le lavorazioni dei maglioni irlandesi. In queste zone la maglia perse la vivacità dei colori, ma acquistò il rilievo nella straordinaria varietà di punti. Quando il segreto di questi punti uscì dalle celle dei monaci e furono insegnati ai pescatori, essi divennero altrettanti simboli delle famiglie locali e ogni famiglia si identificava in essi. Quando due gruppi, attraverso il matrimonio, si imparentavano, la nuova famiglia ereditava i punti dei due clan di provenienza e in questo modo i punti Aran si diffusero nelle famiglie irlandesi. Nelle isole Aran ad eseguire i maglioni erano gli stessi pescatori, mentre alle mogli veniva delegato solo il compito di filare la lana. Sono molto simili i maglioni Guernsey con la differenza che la lana utilizzata non è grossa bensì sottile e di colore scuro. I maglioni, basati sulla diversa combinazione dei diritti e dei rovesci dove l’effetto del rilievo è appena accennato. I motivi dei maglioni delle isole Shetland infine vengono lavorati nei colori naturali delle terre, dal panna al marrone scuro e sono maggiormente stilizzati e accostati ai motivi significativi delle terre scandinave come la stella di ghiaccio e la felce. Di solito il materiale utilizzato è la lana. Quando però, più tardi, venne importata la seta dall’ Oriente, questa divenne il tipo di filato preferito dai papi e dai re. Vennero realizzati capi molto preziosi e ad arricchirli contribuivano i fili di oro che si intrecciavano alla seta. Pur non avendo origine in Gran Bretagna, quindi, il lavoro a maglia fu qui sempre tenuto in grande considerazione ed ebbe un fortissimo sviluppo. A questo contribuirono i diversi regnanti che si succedettero nel tempo. Elisabetta I, ricevuto in dono un paio di calze lavorate nell’isola di Jersey, decide di concedere agli isolani l’esenzione dal dazio sulle esportazioni verso l’Inghilterra, determinando il fiorire della produzione di lavoro a maglia. Il lavoro a maglia viene visto come un aiuto per sconfiggere povertà e la delinquenza tra le classi meno abbienti. È un lavoro che viene svolto principalmente da donne, vecchi e bambini per arrotondare il magro salario derivante dai lavori nella campagna.

All’inizio del Seicento William Lee inventa la prima macchina da maglieria, ma è costretto emigrare in Francia. La macchina viene perfezionata alla fine del Settecento da Joseph-Marie Jacquard (da cui il nome di un punto di cui parleremo più avanti), che rende possibile l’utilizzo di più colori contemporaneamente.

Nel 1700 e nel 1800 si continuò a lavorare ai ferri ma i colori vennero abbandonati. Divenne di moda il colore bianco e soprattutto i filati di cotone e di lino che ben si prestavano per realizzare corredi per neonato, sciarpe leggere e traforate, bordure e magliette.

In Francia nasce la cuffietta di cotone bianco che diventa parte fondamentale del costume contadino e si realizzano berretti di ogni varietà. Vengono utilizzati i punti traforati e leggeri simili a veri e propri merletti. Si lavora ai ferri non tanto per professione ma per il piacere di realizzare con le proprie mani qualcosa di bello. Quest’epoca quindi viene ricordata perché è solo ora che il lavoro ai ferri diventa anche un “hobby”. Sono comunque rari i reperti di ferri prima dell’Ottocento. I ferri venivano presumibilmente fusi e riutilizzati, essendo considerati oggetti di scarso valore. Probabilmente inoltre venivano spesso utilizzati ferri in materiali naturali, in osso, forse in legno e corno, quindi più deperibili. I ferri metallici sembrano essersi diffusi quando la tecnologia della trafilatura è diventata sufficientemente raffinata da poter essere applicata a metalli duri e resistenti. Le modalità di produzione sono cambiate in modo consistente con la rivoluzione industriale e così alla fine del Settecento il progresso della tecnologia industriale ha reso possibile la produzione di metalli trafilati duri e resistenti a prezzi contenuti. Nello stesso periodo, cioè a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, le classi più agiate conobbero un’ondata di entusiasmo per le lavorazioni a maglia e uncinetto. Abbiamo quindi una netta divaricazione, con le classi più povere per le quali il lavoro a maglia diventa fonte di reddito, e l’alta borghesia che sviluppa codifica le regole di un hobby altolocato.

A questa distinzione corrispondono non solo lavorazioni diverse, ma anche l’utilizzo di ferri diversi. Nascono i ferri dritti, a una punta, da usare in coppia. I ferri cioè maggiormente diffusi e quelli che tipicamente associamo a una nonna indaffarata davanti alla stufa nelle serate invernali. Oggi sono i ferri più popolari, ma anche tra i più recenti, e nascono dalla necessità di una specifica classe sociale di ridurre la produttività del lavoro a maglia. L’ultimo arrivato nella classe dei ferri è però il ferro circolare con cavo in nylon, che risale agli anni Quaranta. Il loro antesignano, risalente al diciannovesimo secolo, era leggermente diverso da quello che conosciamo oggi, con il filo  costituito da un cavo metallico che presentava il difetto di usurarsi e rompersi facilmente nel punto di giunzione, danneggiando la lana e rendendo i ferri inutilizzabili. Per questo la loro popolarità si afferma solo con l’introduzione di un materiale moderno, il nylon, inventato dalla DuPont negli anni Trenta. Da lì, il salto verso i ferri circolari intercambiabili fu breve. La prima azienda a farlo fu la Boye con l’introduzione del kit Needlemaster negli anni Sessanta. Questo primo kit aveva già tutte le caratteristiche essenziali: le punte, che in varie misure potevano essere connesse a cavi di varia lunghezza, portando così alla produzione di una grande quantità di ferri diversi!

A Parigi negli anni venti viene presentata dalla famosa sarta Elsa Schiaparelli una collezione di modelli trompe-l’œil tutti realizzati ai ferri che ebbe un grande successo.

Alla fine della seconda guerra mondiale il lavoro a maglia si diffonde per il mondo conoscendo veri momenti di gloria e soprattutto nell’ambiente sportivo va di moda lo stile inglese dei maglioni Fair Isle che verranno indossati dalla stessa regina e dai suoi familiari.

Le fotografie della famiglia reale in maglione verranno pubblicate su tutti i giornali creando presto una diffusa imitazione. L’industria della maglieria è ormai pienamente avviata e diffusa e nascono nuove tecniche, come l’avvio tubolare, molto usato in Italia.

Negli anni sessanta si assiste ad un vero “boom” della maglieria a mano e le riviste, sempre più numerose, riportano le spiegazioni dei punti e dei modelli. Alla fine del decennio e per i successivi anni settanta il lavoro a maglia conosce un ritorno alle origini.

In quegli anni era aperto il dibattito sulla cultura popolare e lo stile folk entrava prepotentemente nell’abbigliamento. Con l’ingresso prepotente dei fatti riguardanti il Sud America sulla scena politica, iniziarono a nascere modelli che imitavano il poncho e sui gilet apparvero i motivi peruviani dei lama e degli omini stilizzati.

Con l’inizio della moda del “fai da te”, le principianti scelgono filati grossi e punti facili per eseguire modelli diritti, evitando aumenti e diminuzioni e preferendo modelli ampi e comodi. Nel 1990 la maglia subisce la riscoperta di punti complessi e spesso reinventati per creare qualcosa di particolarmente ricercato e bello.

Oggi la maglia è più che mai di moda e le tecniche usate, impensate solo pochi anni fa, sono tantissime e le incredibili combinazioni tra il vecchio e il nuovo rendono la ricerca inesauribile.

Fonte:https://it.m.wikipedia.org/wiki/Storia_del_lavoro_a_maglia

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